Il Tribunale di Roma, con la sentenza 09 febbraio 2024 n. 1646, ha deciso che è legittima la clausola inserita nel contratto di apprendistato professionalizzante secondo la quale, in caso di dimissioni prive di giusta causa, il lavoratore è tenuto a rimborsare al datore di lavoro una somma pari alla retribuzione corrisposta per ogni giornata di formazione erogata.
Nel caso che ha formato oggetto del giudice di merito capitolino, un’azienda ha agito nei confronti di un ex dipendente, assunto con contratto di apprendistato professionalizzante, il quale, quando era ancora in corso il periodo di formazione, aveva rassegnato le proprie dimissioni, pur nel rispetto del termine di preavviso.
Secondo il datore di lavoro, l’ex dipendente era tenuto a restituite alcune somme (recuperate mediante trattenuta sulla busta paga), a titolo di rimborso delle spese sostenute dall’azienda per l’erogazione, nei confronti del lavoratore, delle giornate di formazione professionale, così come previsto dal CCNL e dal contratto di lavoro sottoscritto tra le parti.
Infatti, nella lettera di assunzione era stata inserita una clausola che prevedeva che durante il periodo formativo le parti avrebbero potuto recedere dal contratto solo per giusta causa o giustificato motivo, fermo restando, in quest’ultimo caso, il rispetto dei termini di preavviso e che, nel caso di dimissioni prive di giusta causa o giustificato motivo, sarebbe stata trattenuta una somma pari alla retribuzione corrisposta per ogni giornata di formazione erogata fino al momento del recesso.
Il lavoratore convocato in giudizio si è difeso sostenente l’illegittimità della clausola di durata minima garantita del rapporto e la relativa trattenuta dalla stessa prevista, sia per le modalità della sua contrattazione, in assenza della necessaria enunciazione dettagliata delle conseguenze e degli effetti, sia per la sua vessatorietà, che avrebbe previsto la specifica approvazione per iscritto, oltre alla sproporzione dell’importo della penale prevista dalla medesima clausola contrattuale.
Il Tribunale ha ritenuto fondato il ricorso della società, ritenendo che dalle previsioni contrattuali risultasse che, salvo il rispetto dei termini di preavviso, in caso di dimissioni prive di giusta causa il lavoratore era tenuto al rimborso di una somma pari alla retribuzione corrisposta per ogni giornata di formazione erogata.
Con riguardo alla eccezione di vessatorietà della clausola contrattuale, il giudice di merito ha evidenziato che la stessa aveva lo scopo di predeterminare l’entità del risarcimento del danno a favore del datore di lavoro nell’ipotesi in cui il lavoratore non avesse rispettato il periodo minimo pattuito di durata del rapporto (c.d. patto di stabilità).
A tal proposito il Tribunale ha ricordato che in materia contrattuale le caparre, le clausole penali ed altre simili, con le quali le parti determinano in via convenzionale anticipata la misura del ristoro economico dovuto all’altra in caso di recesso o inadempimento, non avendo natura vessatoria, non rientrano tra quelle di cui all’art. 1341 c.c. e non necessitano, pertanto, di specifica approvazione.
Esclusa la vessatorietà della detta clausola, è stata, altresì, esclusa illegittimità della stessa, atteso che, ferma la disciplina contrattuale delle condizioni del contratto di apprendistato fissate dal legislatore, nessun limite è posto dall’ordinamento all’ autonomia privata relativamente alla facoltà di recesso dal rapporto di lavoro subordinato attribuita al lavoratore.
La legittimità di detta clausola era rinvenibile nel dispendio economico sopportato dalla azienda per la formazione di un proprio dipendente al fine di destinarlo allo svolgimento delle mansioni e fruendo di una formazione dedicata.
Come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, tale patto deve ritenersi legittimo quando da parte dell’imprenditore è stato sostenuto un reale costo finalizzato alla formazione del lavoratore per poter beneficiare per un periodo di tempo minimo, ritenuto congruo, del bagaglio di conoscenze acquisito dal lavoratore.
Infine, la clausola non è risultata eccessivamente onerosa, dato che, trattandosi della formazione relativa all’acquisizione di una posizione lavorativa per la quale erano previste specifiche abilitazioni, nella fattispecie il datore di lavoro non si era sostanzialmente mai potuto avvalere del contributo lavorativo effettivo del dipendente, che era stato impegnato interamente nella formazione.