La Corte di Cassazione ha emesso un’importante sentenza che conferma l’obbligo di una grande azienda di servizi postali di corrispondere una somma significativa a un’ex dipendente, malgrado quest’ultima non avesse prestato servizio per un lungo periodo a causa del rifiuto dell’azienda di ricevere la sua prestazione lavorativa.
La controversia ha avuto origine nel 2007, quando la lavoratrice, impiegata in un call center gestito da una società appaltatrice, aveva intrapreso un’azione legale per il riconoscimento della natura subordinata del suo rapporto di lavoro con l’azienda committente. La Corte d’Appello di Roma, con una sentenza del 2018, aveva dichiarato nullo l’appalto di manodopera, riconoscendo di fatto l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente con l’azienda committente, con decorrenza dal novembre 2000.
Successivamente, la lavoratrice aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento di oltre 221.000 euro, a titolo di retribuzioni maturate nel periodo tra ottobre 2007 e aprile 2018. L’azienda, contestando la validità di questa richiesta, aveva opposto ricorso, sostenendo che l’obbligo di pagamento delle retribuzioni non potesse scaturire dalla sola sentenza di accertamento del rapporto di lavoro, ma che fosse necessaria anche l’effettiva prestazione lavorativa o, in alternativa, una messa in mora valida.
Il punto centrale della disputa era proprio la validità della messa in mora effettuata dalla lavoratrice tramite un ricorso presentato nel 2007. Sebbene quel ricorso fosse stato successivamente dichiarato nullo, la Corte d’Appello ha stabilito che, nonostante la nullità processuale, l’atto fosse comunque valido ai fini della messa in mora, obbligando così l’azienda a corrispondere le retribuzioni dovute.
La sentenza della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’azienda, confermando che, in casi di accertata illiceità di un appalto di manodopera, il lavoratore ha diritto alla retribuzione anche in assenza di prestazione, purché vi sia stata un’offerta valida della propria prestazione lavorativa. Questo principio, ormai consolidato nella giurisprudenza, mira a evitare che datori di lavoro e appaltatori possano continuare a utilizzare lavoratori in condizioni irregolari senza conseguenze economiche.
La decisione della Corte di Cassazione ha riaffermato l’importanza della tutela dei lavoratori nei casi di interposizione illecita di manodopera, sancendo l’obbligo delle aziende di rispettare i diritti retributivi dei dipendenti anche in situazioni complesse come quella in oggetto.
Oltre al rigetto del ricorso, l’azienda è stata condannata al pagamento delle spese processuali, segnando così la conclusione di una lunga battaglia legale che ha visto riconosciuto il diritto della lavoratrice a ottenere quanto le era dovuto.