La Corte Suprema di Cassazione, con l’ordinanza n. 23318, ha annullato il licenziamento disciplinare di N.D., ex direttore di filiale di Banca (…), ordinando il suo reintegro e il risarcimento del danno. La decisione, maturata a seguito di una lunga battaglia legale, evidenzia importanti questioni riguardanti l’onere della prova e la rilevanza disciplinare delle condotte ascritte al dipendente.
Il contesto
N.D. era stato licenziato il 23 marzo 2017 per una serie di condotte ritenute gravi dalla Banca. Le accuse principali riguardavano l’attivazione non autorizzata di carte di credito e prepagate a nome di una cliente, Mo.Lu., e altre operazioni bancarie considerate irregolari. La Corte d’Appello di Catanzaro, in secondo grado, aveva già annullato il licenziamento, ordinando la reintegrazione del direttore e il pagamento di dodici mensilità come risarcimento.
Le motivazioni della Cassazione
La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, sottolineando l’assenza di prove sufficienti a dimostrare la materialità dei fatti contestati. Nella sentenza si legge che la Banca non è riuscita a dimostrare che N.D. avesse effettivamente compiuto le azioni imputategli, come l’assegnazione delle carte di credito senza il consenso della cliente.
Inoltre, la Corte ha ritenuto che anche le altre contestazioni mosse contro il direttore – tra cui l’assegnazione di una carta di credito Gold e l’effettuazione di accrediti fittizi sui conti dei clienti – fossero prive di rilevanza disciplinare, non avendo provocato danni diretti né leso l’elemento fiduciario necessario nel rapporto di lavoro. La Cassazione ha specificato che, per essere considerata giusta causa di licenziamento, una condotta deve essere non solo provata, ma anche oggettivamente e soggettivamente grave, tale da compromettere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro.
Un precedente importante
Questa sentenza rappresenta un precedente significativo per quanto riguarda le controversie lavorative, in particolare nel settore bancario, dove la fiducia e la correttezza operativa sono fondamentali. La decisione della Cassazione evidenzia l’importanza di un rigoroso rispetto dell’onere della prova da parte del datore di lavoro e di una valutazione accurata della gravità delle condotte contestate.
La controversia, ora rinviata alla Corte d’Appello di Reggio Calabria per un nuovo esame, continuerà a far discutere, specialmente per l’interpretazione del concetto di “insussistenza del fatto” e per l’applicazione delle tutele previste dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ha riaffermato che, in ambito lavorativo, il licenziamento è una sanzione estrema che deve essere supportata da prove concrete e da un’analisi approfondita della condotta contestata, evitando di basarsi su presunzioni o su danni potenziali non verificati.