La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25840 del 27 settembre 2024, ha deciso che il lavoratore in ferie ha diritto di percepire la retribuzione e tutti gli altri importi pecuniari che si pongono in collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sono correlati allo status personale e professionale del lavoratore.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, un lavoratore si era rivolto al giudice del lavoro affinché condannasse l’azienda a corrispondere le differenze retributive maturate nel periodo di fruizione delle ferie annuali, non avendo percepito una retribuzione equiparabile a quella corrisposta nei periodi di servizio, in quanto non comprendente l’indennità perequativa, l’indennità compensativa e il ticket mensa.
Sia il giudice di primo grado che la Corte d’appello hanno dato ragione al lavoratore.
L’azienda ha proposto ricorso in Cassazione la quale lo ha rigettato richiamando la sentenza della Corte di giustizia UE del 2006 secondo cui con l’espressione ferie annuali retribuite si vuole far riferimento al fatto che per la durata delle ferie annuali deve essere mantenuta la retribuzione con ciò intendendosi che il lavoratore deve percepire in tale periodo di riposo quella ordinaria.
In sostanza, va assicurata una situazione equiparabile a quella ordinaria del lavoratore in atto nei periodi di lavoro sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione europea.
Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza.
I predetti principi europei sono stati fatti propri anche dalla Corte di cassazione che in più occasioni (su tutte si veda sent. n. 13425 del 17/05/2019) ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore.
I giudici di legittimità ricordano, infine, che le sentenze della Corte di Giustizia UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale, sicché non può prescindersi dall’interpretazione data dalla Corte stessa che, quale interprete qualificata del diritto dell’unione, indica il significato ed i limiti di applicazione delle norme. Le sue sentenze, pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, hanno perciò valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità (concetto già espresso anche con la sent. 22577/2012).
Nell’applicare il diritto interno il giudice nazionale è tenuto ad un’interpretazione per quanto possibile conforme alle finalità perseguite dal diritto dell’UE nell’intento di conseguire il risultato prefissato dalla disciplina Eurounitaria.
L’esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale attiene infatti al sistema del Trattato UE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell’ambito delle rispettive competenze, la pien efficacia del diritto dell’Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte, obbligo che viene meno solo quando la norma interna appaia assolutamente incompatibile con quella Eurounitaria, ma non è questo il caso.