L’interazione tra uomo e macchina, soprattutto con macchine autonome e semi-autonome, rappresenta una sfida complessa per la sicurezza sul lavoro, resa ancora più critica dalla crescente digitalizzazione dei processi produttivi. La rivoluzione digitale ha introdotto tecnologie avanzate che collaborano con l’operatore umano, piuttosto che sostituirlo, e questo ha cambiato il modo in cui i rischi vengono valutati e gestiti.
Di cosa si tratta:
Uno degli aspetti centrali di questa interazione è l’errore umano. Quando un operatore interagisce con una macchina in condizioni di discomfort cognitivo, come stress, affaticamento o distrazioni, la probabilità di errori aumenta. Studi dimostrano che, durante l’interazione, comportamenti scorretti, spesso involontari, possono essere ragionevolmente prevedibili e condurre a situazioni pericolose. Questo ha portato alla necessità di adottare un approccio proattivo alla progettazione delle macchine, che consideri tali fattori già in fase di sviluppo.
Le normative europee, come la Direttiva Macchine 2006/42/CE e il Regolamento UE 2023/1230, impongono ai produttori di macchinari l’obbligo di progettare macchine sicure, considerando sia l’uso previsto sia l’uso scorretto ragionevolmente prevedibile. Questo significa che i costruttori devono prevedere e prevenire possibili errori umani con soluzioni tecniche e progettuali. Nonostante ciò, la normativa non fornisce indicazioni dettagliate su come identificare e valutare questi rischi cognitivi, lasciando aperto il problema di gestire l’interazione complessa tra macchine e operatori.
Ad esempio, la normativa UNI EN ISO 12100 elenca comportamenti umani che possono portare a un uso scorretto, ma mancano strumenti operativi concreti per prevedere o valutare il rischio. Anche il rapporto tecnico UNI ISO/TR 14121-2 suggerisce una collaborazione tra fabbricanti e utilizzatori per identificare i possibili errori, ma non esistono ancora metodi standardizzati per monitorare e prevenire questi rischi.
Negli ultimi anni, la psicologia cognitiva e la neuroergonomia hanno fatto passi avanti nella comprensione del comportamento umano nei contesti di sicurezza. È emerso che lo stato mentale dell’operatore, come il sovraccarico cognitivo, può influenzare direttamente la sua performance e la probabilità di errori. Ad esempio, il “mind wandering”, ovvero il “vagabondaggio mentale” porta a disattenzione, oppure il “withdrawal effort”, “riduzione dell’impegno” induce comportamenti pericolosi per risparmiare energie.
Adottare un approccio antropocentrico nella progettazione delle macchine significa mettere al centro l’operatore, considerando le sue capacità cognitive, limitazioni e necessità individuali. Questo approccio mira a progettare macchine che riducano al minimo lo stress cognitivo, consentendo all’operatore di lavorare in condizioni di comfort e quindi ridurre il rischio di errori.
In linea con il paradigma di Industria 5.0, che si concentra sull’interazione tra esseri umani e macchine intelligenti, la ricerca si sta orientando verso lo sviluppo di soluzioni innovative. Ad esempio, progetti come il BRIC ID 46 stanno sviluppando sistemi multisensoriali in realtà mista per addestrare i lavoratori in ambienti ad alto rischio. Questi sistemi misurano in tempo reale lo stato cognitivo e emotivo del lavoratore, adattando l’addestramento e l’interazione in base a queste informazioni.
Un altro progetto, il BRIC ID 41, mira a creare applicazioni collaborative per robot industriali che siano in grado di adattarsi all’ambiente e alle capacità cognitive dell’operatore. Questo tipo di ricerca è fondamentale per migliorare la sicurezza, poiché consente ai sistemi robotici di riconoscere lo stato di affaticamento mentale dell’operatore e adattare le loro operazioni di conseguenza.
Anche il BRIC ID 1 lavora sul design di interfacce uomo-macchina più sicure e inclusive, considerando le diversità degli operatori, come età, genere e abilità cognitive. L’obiettivo è migliorare l’usabilità e l’esperienza dell’utente, riducendo così il rischio di errori legati a fattori cognitivi o emotivi.
Conclusione
Nella moderna realtà industriale, caratterizzata dall’integrazione uomo-macchina, è essenziale passare a un approccio preventivo nella gestione dei rischi. Piuttosto che intervenire solo con misure tecniche a valle, la progettazione delle macchine dovrebbe favorire un’interazione sicura e confortevole per l’operatore, tenendo conto delle sue capacità cognitive e limitazioni. Gli studi attuali dimostrano che la sicurezza può essere migliorata notevolmente se si adottano tecnologie e strategie in grado di rilevare e gestire lo stress cognitivo e l’affaticamento dell’operatore in tempo reale, riducendo così la probabilità di errore e migliorando la performance complessiva del sistema.
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