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Welfare: come individuare le categorie di dipendenti per l’assegnazione dei benefit | Bluway

Welfare: come individuare le categorie di dipendenti per l’assegnazione dei benefit

Mar 7, 2024 | Approfondimento

fonte articolo: www.zhrexpert.it

Ai fini di una corretta gestione dei piani welfare aziendali, occorre tenere presente che il particolare regime agevolativo riferito a determinati benefit, ovvero l’esenzione fiscale e contributiva, è applicabile solo ove tali benefit siano assegnati alla generalità o a categorie di dipendenti.

Assume quindi notevole rilevanza, in fase di istituzione e regolamentazione del piano welfare, che si provveda ad una identificazione delle categorie di dipendenti in linea con le precisazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate nelle circolari di riferimento. Si deve poi tenere conto anche di quanto indicato nei diversi interpelli susseguitisi negli ultimi anni, tra cui anche la recente risposta n. 57/2024.

La valutazione è imprescindibile nell’ipotesi in cui il piano welfare preveda l’assegnazione di benefit per i quali è richiesta, ai fini dell’esenzione, la destinazione alla generalità o, appunto, a categorie di dipendenti.

I benefit interessati

L’individuazione dei benefit che, ai fini dell’esenzione, devono essere destinati alla generalità o a categorie di dipendenti, deve essere effettuata esaminando il disposto di cui all’art. 51 TUIR.

Si tratta di erogazioni che, ove siano messe a disposizione solo di taluni lavoratori, concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente. Ciò sta a significare che l’agevolazione non può essere riconosciuta ogni qualvolta le somme e i servizi siano rivolti ad personam ovvero costituiscano dei vantaggi solo per alcuni e ben individuati lavoratori (v. A.E. Lombardia ris. 954-1417/2016).

I benefit interessati sono i seguenti:

le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti, anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti servizi pubblici (comma 2, lett. d);
le somme erogate o rimborsate alla generalità o a categorie di dipendenti dal datore di lavoro o le spese da quest’ultimo direttamente sostenute, volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento aziendale, per l’acquisto degli abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale del dipendente e dei familiari indicati nell’articolo 12 che si trovano nelle condizioni previste nel comma 2 del medesimo articolo 12 (comma 2, lett. d-bis);
le opere e i servizi di cui al comma 1 dell’art. 100 del TUIR (finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto) offerti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti (comma 2, lett. f);
le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione, da parte dei familiari indicati nell’articolo 12, dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari (comma 2, lett. f-bis);
le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti (comma 2, lett. f-ter);
i contributi e i premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni, anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, le cui caratteristiche sono definite dall’articolo 2, comma 2, lettera d), numeri 1) e 2), del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali 27 ottobre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2010, o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie (comma 2, lett. f-quater);
il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti per un importo non superiore complessivamente nel periodo d’imposta a euro 2.065,83 (comma 2, lett. g).

Si deve poi considerare che la circolare n. 326/E/1997 del Ministero delle Finanze, con un’interpretazione ancora attuale, aveva indicato che per fruire dell’agevolazione fiscale, anche le mense o i servizi sostitutivi (es. buoni pasto) devono essere rivolti alla generalità o a categorie omogenee di dipendenti.

L’individuazione delle categorie

Un primo chiarimento al riguardo è stato fornito all’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 28/2016, con cui è stato precisato che, ai fini dell’individuazione delle categorie, non si deve necessariamente fare riferimento alla categoria legale (dirigenti, quadri, impiegati e operai), ma può essere individuato un gruppo omogeneo di dipendenti (per esempio: venditori; addetti a …;  addetti ad una determinata filiale/ reparto ….; dipendenti con familiari a carico; dipendenti con più di … anni di anzianità; RAL; ecc.), “a prescindere dalla circostanza che in concreto soltanto alcuni di essi ne usufruiscono”.

Il requisito in esame deve ritenersi soddisfatto anche qualora si metta a disposizione della generalità dei dipendenti un paniere di “utilità” e si lasci a questi ultimi la scelta di quelli più rispondenti alle proprie esigenze.

Un’importante e recente precisazione è stata fornita dalla risposta all’interpello n. 57/2024, con cui l’Agenzia delle Entrate ha indicato che non è possibile individuare una “categoria di dipendenti” sulla base di una distinzione non legata alla prestazione lavorativa, ma a caratteristiche o condizioni personali o familiari del dipendente.

Nel caso specifico, la società istante intendeva riconoscere a tutte le lavoratrici madri, al termine del periodo di astensione obbligatoria per maternità, una somma equivalente alla differenza tra l’indennità del congedo parentale a carico INPS e il 100% della retribuzione mensile lorda. Tale importo, riconosciuto per i tre mesi successivi al periodo di astensione, sarebbe stato erogato in forma di welfare aziendale e non in denaro.

Lo status di lavoratrice madre rientrata al lavoro dopo l’astensione obbligatoria, secondo l’Agenzia, non può integrare i presupposti per l’applicazione delle esenzioni previste dall’art. 51 del TUIR, anche se presso il datore vige un piano welfare. Pertanto, le somme destinate a tali lavoratrici hanno rilevanza reddituale, in quanto si tratta di un’erogazione sostitutiva di compensi, fissi o variabili, che risponde a finalità retributive.

Nel precedente interpello n. 273 del 18 luglio 2019, era invece stata confermata la configurabilità di una “categoria di dipendenti”, nel piano welfare che aveva individuato come possibili destinatari di corsi di formazione i lavoratori fragili, nel senso di “dipendenti a maggior rischio di non impiegabilità e di fragilità sociale”.

Riconducibilità alle categorie di dipendenti di particolari tipologie contrattuali

Con la risposta all’interpello n. 10 del 25 gennaio 2019, l’Agenzia delle Entrate aveva già affrontato alcune interessanti precisazioni riguardanti i destinatari dei piani di welfare aziendali.

Con particolare riferimento alle categorie di dipendenti, la risposta aveva precisato che:

lo stagista (percettore di reddito assimilato a quello di lavoro dipendente) che svolge il percorso formativo nel settore i cui dipendenti sono coinvolti nel piano welfare (nel caso di specie, gli addetti alla sala) può anch’egli essere destinatario dei flexible benefit regolamentati dal piano welfare, applicando i previsti regimi esentativi;
il lavoratore occupato in azienda con contratto di somministrazione (anche a tempo determinato) che svolge la propria l’attività unitamente alla generalità/categoria di dipendenti dell’impresa destinatari del piano welfare, può anch’egli essere destinatario dei flexible benefit regolamentati dal citato piano welfare, applicando i previsti regimi esentativi (in tal caso, attraverso l’agenzia di somministrazione, previa comunicazione dell’azienda utilizzatrice);
l’amministratore unico, destinatario del piano welfare (categoria manager, unitamente al direttore di sala), anche se titolare di reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, non può vedersi applicare i previsti regimi esentativi. Quindi, in questa ipotesi, i flexible benefit possono essere riconosciuti anche all’amministratore unico, ma questi concorreranno a formare reddito imponibile per il loro valore, in quanto non è ravvisabile, con riferimento all’amministratore unico, la riferibilità a una “categoria di dipendenti”. Ciò in quanto vi è immedesimazione tra la persona fisica e la società (il ruolo di dipendente si confonde con quello di amministratore, mancando il necessario rapporto di alterità tra le parti, in quanto il soggetto percettore è lo stesso soggetto che ha istituito il piano welfare);
anche all’unico direttore di sala non può essere applicato il regime di favore previsto dal welfare aziendale, dal momento che l’erogazione dei flexible benefit in suo favore configura, secondo l’Agenzia, un’offerta ad personam.

Il budget di spesa personalizzato

Un altro interessante spunto di riflessione è fornito dalla risposta all’interpello 904-1533/2016, pubblicata dall’Agenzia delle Entrate Lombarda.

La sede territoriale del fisco, riferendosi alla destinazione dei benefit a categorie di dipendenti, ha indicato quanto segue: “…. come precisato più volte dall’Amministrazione finanziaria (cfr. circolari n. 326 del 23 dicembre 1997, paragrafo 2.2.6, e n. 188 del 16 luglio 1998, paragrafo 4), il legislatore, a prescindere dall’utilizzo dell’espressione “alla generalità dei dipendenti” ovvero a “categorie di dipendenti”, ha inteso riferirsi alla generica disponibilità verso un gruppo omogeneo di dipendenti (anche se alcuni di questi non fruiscono di fatto delle opere o servizi o delle somme messi a disposizione dal datore di lavoro) poiché, invece, qualora l’offerta dell’azienda sia rivolta ad personam oppure consenta di trarre dei vantaggi soltanto ad alcuni e ben individuati lavoratori, non viene riconosciuta l’applicazione delle disposizioni agevolative in esame tassativamente previste”.

Secondo la sede lombarda, ne conseguirebbe che: “…sebbene il progetto di “welfare aziendale” varato dalla società istante preveda la possibilità di riconoscere un budget “figurativo” di spesa diversificato per ognuno di loro, è tuttavia necessario, al fine di permettere una fruizione “omogenea” dell’offerta alla “generalità” dei propri dipendenti (e consentire, dunque, l’esclusione da imposizione sul reddito da lavoro dipendente del valore dei beni e servizi offerti ai sensi dei commi 2 e 3 dell’articolo 51 del TUIR) che il plafond di spesa, seppur differenziato, abbia quanto meno la medesima consistenza all’interno della singola categoria di dipendenti considerata.”

In virtù di quanto indicato dalla risposta all’interpello in esame, pertanto, per accedere all’agevolazione fiscale sarebbe indispensabile assegnare lo stesso valore welfare per tutti i dipendenti della medesima categoria.

Tale precisazione non è pienamente condivisibile, in quanto introduce un requisito più stringente di quello richiesto dalla disciplina di riferimento. Inoltre, non tiene conto della circostanza che alcuni benefit esenti o parzialmente esenti che possono essere assegnati anche a singoli lavoratori (ad esempio, i prestiti agevolati e il contributo in conto interessi, i contributi alla previdenza complementare, le erogazioni in natura,…).

Inoltre, deve ritenersi corretta l’assegnazione di un “valore benefit” correlato alla retribuzione di ogni singolo dipendente; per esempio, il budget di spesa potrebbe essere individuato nel 5% della RAL con arrotondamento a “x” euro superiori. In tale caso, la percentuale sarebbe la medesima per la categoria, ma il valore effettivo del plafond di spesa sarebbe differenziato per i lavoratori con una diversa RAL.

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