Il lavoro solitario o lavoro in solitudine è un tema generalmente poco affrontato e in parte sottovalutato. Questo anche perché, come vedremo, non esiste una normativa specifica, ma è necessario anzitutto seguire i principi generali di valutazione di un qualsiasi rischio e di identificazione delle misure per ridurne la magnitudo.
La prima difficoltà che si incontra è nel dare una definizione univoca di lavoro solitario: infatti, la legislazione italiana sulla sicurezza sul lavoro non ne prevede una specifica. Generalmente, per lavoratori isolati si intendono quei lavoratori che si trovano ad effettuare attività in luoghi di lavoro non presidiati da altri lavoratori, quindi senza poter essere visti o sentiti da altre persone. Ci rendiamo presto conto che una delle criticità è la difficoltà di ricevere immediata assistenza in caso di necessità.
Il lavoro solitario può riguardare attività e situazioni più o meno saltuarie e anche piuttosto comuni: ad esempio, potrebbe coinvolgere persone che hanno necessità di lavorare oltre il normale orario, in giorni festivi oppure durante abituali turni di notte. Ancora, potrebbero trovarsi in situazioni di solitudine e/o isolamento tutti quei lavoratori che operano all’esterno delle sedi ufficiali dell’organizzazione, smart-work incluso. Tale condizione, però, si può realizzare anche in contesti in cui il lavoratore non operi in solitaria, ma vi siano difficoltà di comunicazione o di accesso ai luoghi dove essere svolta l’attività.
Di seguito si riassumono alcune categorie che possono andare incontro a rischi legato al lavoro in solitudine.
Persone che lavorano in sedi fisse:
Persone che lavorano da sole in un posto di lavoro come piccole botteghe, negozi, stazioni di servizio, edicole;
Lavoratori che si trovano in locali aziendali distaccati o in aree, edifici isolati, siano siti produttivi, magazzini, centri di ricerca o centri ricreativi o altro;
Persone che operano fuori dai consueti orari di lavoro, come addetti alla vigilanza, alle pulizie, o lavoratori su turni in ambienti di lavoro dove la maggioranza del personale lavora a giornata;
Lavoratori in regime di smart-work.
Persone che si spostano spesso dalla sede principale:
Lavoratori di cantieri edili o stradali, installatori di impianti, lavoratori che effettuano manutenzioni elettriche, di impianti e attrezzature, ditte di pulizie, soccorso stradale;
Operatori agricoli e forestali;
Forze dell’ordine;
Lavoratori che viaggiano da soli, con contatti limitati o assenti con clienti, come autotrasportatori e corrieri;
Lavoratori che viaggiano da soli per incontrare clienti, avventori o pazienti, ad esempio impiegati commerciali, rappresentanti, liberi professionisti, personale sanitario che effettua visite a domicilio.
Ci rendiamo presto conto che il lavoro isolato può potenzialmente riguardare un ampio numero di lavoratori, sebbene non esistano numeri certi.
Oltretutto, come vedremo e come possiamo desumere osservando le tipologie di mansione coinvolte, questa condizione può comportare situazioni di rischio rilevante, come nel caso delle attività notturne.
I datori di lavoro dovrà, quindi, prestare una particolare attenzione ad attività consolidate e nuove che portano il personale ad operare in isolamento, per garantire che vengano adottate tutte le misure di salute e sicurezza. In particolare, il datore di lavoro deve:
Individuare le mansioni e le attività che comportano lavoro in isolamento;
Valutare la presenza di rischi specifici per i lavoratori isolati, come ad esempio il rischio di infortuni, il rischio di esposizione a sostanze pericolose o il rischio di isolamento sociale.
Prendere misure per ridurre o eliminare i rischi, come ad esempio l’utilizzo di dispositivi di segnalazione di emergenza o la predisposizione di un sistema di controllo da remoto.
Inoltre, il datore di lavoro deve informare i lavoratori isolati dei rischi specifici a cui sono esposti e dei comportamenti da adottare per prevenirli.
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